Guardiamo ora, guardiamo oltre

di Ninni De Santis*

(già pubblicato sul ildenaro.it)

Il Piano Transizione 4.0 può diventare lo strumento per la transizione post Covid con le dovute e necessarie variazioni su cui sta alacremente lavorando Confindustria: aumento delle percentuali dei bonus R&S ed innovazione, drammaticamente abbassate nella finanziaria 2019 “normale” e allungamento dei tempi della misura ad almeno 3 anni.
Aggiungerei una visione meno burocratica e formalistica della misura, rimandando si ai Manuali di Frascati e di Oslo per i criteri di applicazione, ma non pretendendo che essi siano esauditi per tutte le declinazioni di attività in quanto, soprattutto il primo, è un manuale nato in ambito Universitario e che quindi sconta una lontananza dalla prassi che l’azienda non può sempre soddisfare.
Magari ridurre la rispondenza ad almeno 2 o 3 dei 5 criteri previsti consentirebbe l’utilizzo della misura a tutte le imprese, soprattutto alle PMI meno avvezze ai formulari ma che fanno paradossalmente più innovazione senza ricerca come formalmente declinata.
Così da non dare le imprese in pasto ad occhiuti ed impreparati funzionari, premiati paradossalmente per il recupero di somme che poi portano a temerari contenziosi per la PA.
L’adeguamento di Transizione 4.0 alla guerra asimmetrica dichiarata dal Covid 19 all’apparato produttivo Italiano sarebbe ancora più utile perché le aziende che non si sono fermate stanno investendo proprio mentre scrivo ed implementando in tempi rapidissimi e con sperimentazioni che non consentono tempi lunghi ogni tipo di innovazione per l’utilizzo di piattaforme di smart working o per la sicurezza dei luoghi di lavoro dove è necessario stare vicini agli impianti di produzione. Inoltre, premierei l’introduzione nella PA e nelle aziende degli smart contracts con tecnologie Blockchain che sostituiscono la stretta di mano dal notaio o dal segretario comunale (ora non consigliabile) con una più affidabile stretta di mano tecnologica.
Non escludo, peraltro, che tali cambiamenti possano produrre nuovi asset organizzativi in grado di sostituire l’occhio vigile (fisico) del padrone con quello più efficiente del Padrone-manager, rispetto ai risultati raggiunti dai dipendenti in smart work. Meno tempo nel traffico e più tempo per lavorare meglio e da dedicare al wellness personale. Ma queste sono analisi che faremo tra un anno.
Per cui oltre alle misure emergenziali in atto che si spera contribuiscano a diminuire un effetto di probabile decimazione aziendale, sarebbe importante approfittare, come spesso accade nei momenti di difficoltà, di questa crisi per trasformare in meglio quelle aziende che ce la faranno e auspicabilmente dimostrare al mondo che l’Italia è il Better Place dove è possibile non solo fare impresa, ma anche e soprattutto fare un’impresa di qualità. Va però decimata, quella si, la pulsione burocratica che tiene lontani gli investitori dalle nostre terre e dissuade gli “eroi” che l’impresa qui la fanno a fare di più. Quegli “eroi” che oggi stanno anche loro in trincea, al pari del nostro sistema sanitario, per assicurare al sistema Paese un “dopo” che con i vizi italiani è ora difficile immaginare.
Utilizzerei, anzi, l’anno 20 come anno fiscale zero D.C. (Dopo Covid) per un completo reset fiscale (parola più digeribile di condono) recuperando dalle imprese che possono farlo gettito che in questo momento sarebbe oro colato. Quindi, con un fisco leggero ed un’amministrazione amica, dedicare alla lotta al sommerso ed all’evasione tutte le risorse di polizia di cui disponiamo.
È il momento degli Animal Spirits italici che devono essere lasciati liberi di fare e che non devono avere avanti a sè le impervie pastoie burocratiche tipiche del nostro sistema legislativo.
Per dimostrare al mondo che si “andrà tutto bene”, cosa che dire a fornitori e banche è complicato, ma anche che siamo i più bravi di tutti e che l’Italia è il posto migliore per venire a fare turismo, impresa e vita.
Qui ed ora.

* Vice Presidente Abie/Confindustria Digitale

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